Anno Europeo delle
Persone con disabilità
VERSO
UNA VITA INDIPENDENTE
E’ questo il significato dello stage formativo che ha visto, a Rodi Garganico, ragazzi e adulti Down vivere una vita indipendente ed autonoma. Conoscere e saper usare il danaro, avere una autonomia negli spostamenti, sapersi orientare nel tempo, saper utilizzare mezzi pubblici, saper cucinare, far nascere ed evolvere amicizie, saper trasferire le competenze nel lavoro. C’è ancora un’importanza eccessiva data all’astrazione, che confligge con l’integrazione dei soggetti disabili, portata avanti ormai da diversi anni..
Ma ancora più grave risulta la situazione quando i ragazzi terminano la scuola. Terminate le scuole, frequentemente, purtroppo, i ragazzi con disabilità si trovano di fronte ad un vuoto e spesso rimangono in casa a far niente, hanno come mera alternativa monotone condizioni, che concorrono a far indebolire o perdere le competenze acquisite e accelerano sia l’invecchiamento che quelle condizioni che vanno ad inficiare la salute fisica e mentale.
Il progetto che si è realizzato a Rodi, con la partecipazione di esperti del Dipartimento di Pedagogia dell’Università degli Studi di Bologna, ha avuto lo scopo di rispondere all’assenza di strutture pedagogico-formative che permettano ai ragazzi con disabilità di acquisire abilità e competenze per una vita autonoma ed indipendente. I dati positivi delle ricerche, messe in atto tra l’Insegnamento di Pedagogia Speciale dell’Università di Bologna, diretto dal Prof. Cuomo, e i colleghi dell’Università di Murcia (Spagna), hanno comprovato la necessità di costituire una “scuola per una vita indipendente”.
Ma non voglio parlare di più. Il significato che ha spinto a cercare nuove strade, con lo stage degli adulti Down presso il Villaggio Molino di Mare di Rodi, lo possiamo meglio ricavare dalle riflessioni della dott.ssa Luigia Quaranta, una dei “mediatori” che hanno seguito i nostri amici diversamente abili.
Eccovene uno stralcio:
“…Per
me personalmente come operatrice e per i genitori del bambino da me seguito è
stato davvero difficile condurlo “sulla strada giusta”, o per lo meno tentare
una via diversa da quella che veniva proposta fino a
quel momento e che, devo dire con rammarico, viene tuttora “subita” da altri
bambini…
“Ma questo “lottare” contro barriere morali, contro valori
angusti ed antiquati mi ha fatto stare meglio, più serena con me e soprattutto
con “il mio piccolo campione”: poco a poco le cose sono cambiate. Aiutarlo ad
essere autonomo non ha significato andare a prenderlo o ad accompagnarlo alla
fermata dello scuolabus, ma permettergli di “imparare” ad entrare e ad uscire
da solo dalla scuola...
“Non lo si rende davvero libero se gli si lascia fare ciò che
vuole, se lo si accompagna fuori dalla classe, magari anche al cortile esterno
alla scuola, o al bagno ogni volta che lui vuole, ma facendogli capire che non
si può fare tutto ciò che si vuole, che a scuola come a casa e in ogni altro
ambiente pubblico ci sono regole da rispettare e il trasgredirle comporta delle
responsabilità e delle multe (proprio come fa il poliziotto con l’automobilista
indisciplinato).
“Trattarlo
come un qualsiasi altro bambino suo coetaneo significa soprattutto essere se
stessi, presentarsi per quello che si è, con i propri pregi e i propri difetti,
poiché nessuno è perfetto; significa non fargli complimenti per un nonnulla,
per qualsiasi cosa faccia, ma solo quando fa cose davvero sensate, trattarlo
normalmente, significa rivolgersi a lui
con le stesse parole e gli stessi modi con cui ci si rivolge agli altri, non
con parole da “fatina”, modi “sdolcinati”, sgraziati ,
formali ed artificiosi che mettono anche in difficoltà il bambino, lo fanno
sentire infantile e sminuiscono le sue qualità e capacità. Insegnargli a leggere e a scrivere (e
dovrebbe essere così per qualsiasi altro bambino) è importante ed acquista
davvero un senso solo nel momento in cui significa qualcosa per lui, quando può
utilizzarlo e scoprirne il valore e l’utilità adattandolo alla realtà
quotidiana, al proprio vissuto.
“Mi creda, è davvero difficile far capire alla società come l’imparare a leggere e scrivere per un bambino disabile, e non solo, diventi davvero costruttivo ed istruttivo se stimola anche l’emozione, se suscita desiderio, se affiancato da attività quotidiane stimolanti; è faticoso esporre questi principi e ancora di più applicarli.
“Non le
dico la faccia della gente quando ci rechiamo negli edifici pubblici o in giro
per la città! Alcuni restano indifferenti , o fanno
finta, altri mostrano una certa curiosità ma preferiscono non chiedere cosa
stiamo facendo, altri ancora ci guardano con occhi di commiserazione e forse
penseranno: “Povero bambino! Com’è stato ingiusto con lui il buon Dio!” oppure
“Ah questa ragazza! Chi sarà? La sua baby-sitter? Non potrebbe stare a casa e fargli fare un po’ di compiti invece di
scarrozzarlo per la città? Probabilmente non ha esperienza e non sa cosa fargli
fare!
“Questa
gente però non sa i risultati che le piccole esperienze quotidiane e concrete
hanno permesso di far raggiungere al bambino, non sanno il motivo del suo
entusiasmo, della sicurezza raggiunta e del miglioramento della sua autostima,
non immaginano neppure come gli piaccia osservare e scoprire la realtà che gli
è attorno o come scriva piccoli pensieri con molto più piacere, motivazione, e
soprattutto senza errori, come riesca a sillabare le parole e a scriverle con
rapidità e scioltezza, non sanno della sua disinvoltura e non si rendono conto
del suo cambiamento; pensano invece che il bambino si diverta e sia spensierato
solo perché viene portato “a spasso” e non ha nulla da
fare…
“Ma cosa ci importa della gente, del giudizio della società? L’importante è che egli stia bene e, soprattutto, che viva una vita NORMALE, come tutti gli altri bambini della sua età: se lo tenessimo chiuso a casa come, ahimè, tanti altri bambini disabili, saremmo noi i primi a fargli vivere una vita diversa, fuori dal normale; se lo vedessimo con occhi diversi, come potremmo pretendere che egli sia normale, che si comporti come gli altri”.
ITALO MAGNO